Come ci si sposava nel 900? Lo scopriamo al museo del costume a Pragelato

Un tuffo nel passato
per sapere come
ci si sposava una volta
Come ci si sposava nel 900? Lo abbiamo scoperto il mese scorso a Pragelato in provincia di Torino, dove è stato rievocato il matrimonio d’altri tempi di 120 anni fa con abiti, musiche, banchetto nuziale dell’epoca e prodotti tipici locali, protagonisti dell’evento presso la borgata Rivets, sono stati i futuri sposi Silvia Blanc e Cristian Stefirca fidanzati da 9 anni.
Queste le parole del Sindaco di Pragelato Giorgio Merlo: “Questa celebrazione storica è stata una iniziativa del Museo del Costume che ha l'ambizione e la capacità di cucire insieme il costume, la storia e la cultura di Pragelato. La rievocazione di questo momento, importante per le persone e per le rispettive famiglie, segna uno spaccato importante anche della cultura di una comunità che proprio attorno al matrimonio si riconosce e si ricompatta.”
Riportiamo qui di seguito alcuni contenuti dell’opuscolo legato al progetto "celebrazione storica del matrimonio" a completamento della rievocazione dal vivo del rito e dell'allestimento nuziale degli ambienti del Museo del Costume, fornito da Elena Ghezzi, presidente della Fondazione G. Guiot Bourg che gestisce il Museo.
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Storie d'amore
I giovani si riunivano generalmente per loro conto nella stalla di una ragazza per la quale uno di loro provava un certo interesse. I giovani studiavano, a volte per un certo numero di sere, la ragazza che intendevano sposare, cercando di capire se poteva essere una buona lavoratrice, una buona madre e per ultimo anche una buona sposa.
La ragazza, alla quale piaceva uno dei giovani presenti alla veglia, si dava da fare e non perdeva tempo in chiacchiere, ma lavorava sodo d'ago e di ferri, pur cercando di dimostrare che sapeva tenere compagnia.
I giovani, durante la veglia, organizzavano i cenoni. L'organizzazione iniziava qualche giorno prima, con la suddivisione dei compiti.
Si mettevano d'accordo su chi avrebbe portato una cosa, chi l'altra. I giovani dovevano portare il vino e ce ne doveva essere abbastanza per essere tutti allegri. Qualche altra volta portavano anche la lepre (e le ragazze a fine cena venivano spesso a sapere di aver mangiato il gatto di qualche vicino: tante volte era effettivamente vero).
La caratteristica principale di questi cenoni era la clandestinità perché altrimenti i genitori avrebbero sorvegliato con maggior attenzione le credenze, i conigli, gli animali domestici (gatti compresi!)
Quando un giovane decideva di sposarsi, si recava a casa della ragazza a farle la sua dichiarazione.
In Alta Val Chisone dove gli usi nuziali erano molto più elaborati che nelle altre zone della valle, se la ragazza nell'attizzare il fuoco con le molle drizzava in un angolo un tizzone di legna ardente, il giovane poteva rinunciare alla sua impresa perché la risposta era negativa. Se non desisteva, la ragazza gli poneva in tasca una pagnotta rispedendolo quindi con la coda tra le gambe.
Gli amici del giovane posavano in terra un filo di crusca che univa la casa della ragazza a quella del mancato spasimante.
Generalmente un giovane prima di prendere moglie, chiedeva consiglio al padrino, che si informava delle condizioni economiche della famiglia della possibile sposa e della sua moralità. Se le informazioni erano favorevoli veniva organizzata una visita alla casa della sposa per la domanda ufficiale cui facevano parte il giovane, il padre e il padrino.
I genitori della ragazza si riservavano un po' di tempo per decidere anche se tutto il paese sapeva della relazione che i due avevano intrecciato.
Nel periodo intercorso tra la richiesta e la risposta i famigliari della ragazza andavano in visita a casa del giovane per rendersi conto delle condizioni economiche del possibile sposo. Arrivava il giorno della risposta: il pretendente andava seguito dalla gioventù del paese, a casa della ragazza. Se era sì, usciva e sparava qualche colpo di arma da fuoco per aria, poi rientrava, mentre i compagni se ne andavano, e trascorreva la vigilia con la ragazza ed i suoi famigliari. Spesso portava da mangiare e bere.
Veniva poi fissato il giorno delle promesse, alle quali assistevano anche i parenti stretti. Le zie portavano i doni tradizionali delle grandi occasioni: grissini, uova, burro e pane. Ed offrivano ciascuna una camicia. Il padrino dello sposo una pecora, la madrina una cuffia bianca ed una camicia.
A Pragelato dinanzi alla porta della casa della ragazza venivano posti i tradizionali arnesi da lavoro dell'alta valle. In quell'occasione avveniva il dono dell'anello da parte del giovane alla sua promessa che contraccambiava generalmente con una cravatta, che annodava personalmente al collo dell'innamorato.
Al termine della festa i due promessi sposi facevano il giro del paese, offrendo da bere ai compaesani della sposa. Quella giornata era anche quella delle pubblicazioni, un tempo solo in chiesa, poi anche in municipio. Venivano poi completati i corredi, mentre arrivavano i regali. Gli ultimi acquisti, almeno negli ultimi tempi venivano effettuati a Pinerolo, dove erano comprate le fedi.
Il resto lo potete trovare nell’opuscolo distribuito al museo.
Trovate anche un interessante articolo su Torinoggi al seguente link:
https://www.torinoggi.it/2022/07/22/
Qui tutte le indicazioni per visitare il Museo del Costume a Pragelato:
https://www.comune.pragelato.to.it/
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